Sahara

Con i suoi nove milioni di chilometri quadrati di estensione, il Sahara è il deserto più grande del Mondo; sicuramente quello di cui si parla di più.

Meta degli appassionati di Africa e di viaggi avventura, provenienti da tutta la Terra, in alcune parti, è addirittura inserito nei circuiti più noti del turismo di massa.
Ritengo che ogni motociclista, dovrebbe almeno una volta nella vita, percorrere qualche chilometro sulle piste di questo affascinante ed insieme terribile deserto.
Anzi, credo che ogni persona, dovrebbe, nella propria vita, poter passare dieci minuti in cima ad una duna del Sahara, per osservare il grande mare di sabbia e meditare sulla infinita grandezza dell’universo e sulla piccolezza dell’essere umano in quanto singolo.
Non è la prima volta, che in un libro, devo descrivere il Sahara, ed è sempre molto difficile riuscirci.
Come trovare le parole per descrivere quel luogo magico, con diversità di ambiente che lo compongono? Come descrivere i suoi abitanti, gli anomali che lo popolano e le piante che tenacemente attaccate alla vita, sopravvivono in un deserto così inospitale ed apparentemente inadatto alla sopravvivenza?
Ma soprattutto, come raccontare e con quali parole descrivere le sensazioni che si provano e si vivono in mezzo al re dei deserti?

Come sono solito ripetere spesso, la maggior parte delle discipline che pratico e degli eventi che organizzo, sprigionano sensazioni che non si possono raccontare.
Si tratta spesso di esperienze che si vivono e che si tenta di descrivere, ma l’unico modo per capirle veramente, resta quello di provarle.
Come raccontare il volo libero in parapendio o in deltaplano, la caduta libera che si prova lanciandosi con il paracadute da un aeroplano, il silenzioso galleggiare, quasi irreale della mongolfiera, le emozioni del rafting e del kayak, il brivido dell’arrampicata e le fatiche dell’alpinismo o della mountain-bike?
Con quali parole si possono descrivere il brivido di un rally tra le dune o la sensazione derivante dalla conquista delle cima di un monte, oppure lo spettacolo che la natura offre al viaggiatore durante un safari o al subacqueo durante una immersione sott’acqua?
Si tratta di situazioni eccezionali, non usuali per l’uomo e per la sua mente; sono luoghi e discipline capaci di generare sentimenti indescrivibili, esaltazione ed euforia, sconforto e paura, senso dell’infinito o sensazioni di immensa potenza.

Viaggiare nel Sahara, ha a che fare con tutto questo.
Forse dovrei lasciare alle immagini il compito di raccontare “il re dei deserti”, ma temo che anche queste risulterebbero riduttive.
Intanto il mio viaggio continua.
Forse ho esagerato un po’, forse sono stato troppo presuntuoso ed ho sopravvalutato un poco le mie possibilità, il caldo in questa stagione, è veramente soffocante e sto soffrendo un poco.
Sono solo con il mio piccolo cavallo meccanico, non ho speranze di incontrare ombra per almeno altre sei ore di viaggio.
La pista non è particolarmente difficile, ma un vento caldo molto forte, mi rende le cose particolarmente complesse.
Quando mi soffia in faccia, mi sembra di viaggiare con un asciugacapelli puntato sul naso, non riseco quasi a respirare ed anche vedere davanti a me diventa difficile, complici la sabbia fine, la polvere sottile come borotalco e la quasi totale assenza di ombre, dovuta alla posizione del sole.

Avrei dovuto partire più tardi, ma viaggiare con il buio, in solitaria, non è il massimo della sicurezza, quindi ho scelto quello che mi sembrava essere il male minore.
Spesso mi fermo a bere qualche sorso d’acqua, per scongiurare il pericolo della disidratazione, ma in realtà credo che le frequenti soste che faccio ogni quindici o venti minuti, siano dovute alla necessità di riposarmi, soprattutto psicologicamente; ma rifiuto, probabilmente inconsciamente, l’idea di essere provato e stanco e mi autoconvinco che mi sto fermando solo per bere.
La tensione che accumulo, nel cercare di interpretare la pista, è sicuramente più spossante della fatica che faccio nel disinsabbiare la mia leggera motocicletta, quando entro con poca convinzione oppure a velocità sbagliata, nelle piccole dunette che invadono spesso la pista.
Devo anche cercare di schivare le grosse pietre che affiorano dal terreno e questo mi stressa di più delle frequenti perdite di equilibrio che mi costringono a qualche provvidenziale “zampettata” di emergenza.

Il sistema giusto, sarebbe quello di procedere più velocemente ed in piedi sulle pedane, ma in caso di caduta, essendo da solo, molto probabilmente, non potrei fare fronte alle conseguenze meccaniche o fisiche di un impatto con il terreno o contro un ostacolo a velocità sostenuta.
Affiorano nella mente, dubbi, paure e perplessità, mentre l’adrenalina mi mantiene vigile, ma il cervello produce cattivi pensieri: e se mi cogliesse un malore? Se si rompesse la moto? Sono conscio del fatto che in quella situazione, anche una semplice foratura, rappresenterebbe un problema serio.

In situazioni del genere, il nemico da tenere a bada è la propria mente; proprio questa è la sfida che mi piace ed anche se come ripeto sto soffrendo un po’ fisicamente, in realtà mi sto veramente divertendo; mi sento vivo e padrone della mia vita, …difficile spiegare queste sensazioni e queste percezioni, che non pretendo siano condivisibili o giuste…
Da circa tre ore non incontro anima viva, neanche animali, peraltro, la mia meta intermedia, è una piccola costruzione posta su di una altura, dove un tipo veramente incredibile, vive solitario, per molti giorni all’anno, aspettando qualche fuoristradista europeo a cui vendere un te, un pane cotto all’istante con il sistema berbero, una scatoletta di tonno, qualche bibita in lattina o una bottiglia di acqua, ovviamente a temperatura ambiente.

Il personaggio in oggetto, viene trasportato in loco da amici che possiedono un fuoristrada e che lo riforniscono periodicamente di cibo e bevande, mentre per spostarsi a breve raggio, egli utilizza un vecchio motorino male in arnese, ma poi dove andrà mai?
Ovviamene a caccia di frodo, in cerca di gazzelle da mangiare o di fennec, volpi del deserto, varani, scorpioni e serpenti da vendere a “colleghi” posizionati in luoghi più facilmente raggiungibili, dove gli sventurati animali, serviranno per attirare turisti, all’interno di questi rudimentali bar che costellano con la loro presenza, le piste più frequentate del Sahara, nei dintorni di Douz, Tozeur, Nefta, Hazoua, Kebili, Tataouine, Chenini, Borj Bourghiba, Ksar Ghilane, Ben Guerdane e Matmata…così va il Mondo ed è comprensibile, che questo avvenga.

Avvisto la collina e la costruzione in lontananza, ma il percorso è ancora lungo.
Il vento ora laterale, mette spesso in crisi il mio equilibrio, già precario e quando mi soffia in coda, non permette il già difficile raffreddamento del motore.
Temo per l’integrità degli organi meccanici, quindi prendendomi qualche rischio, aumento la velocità, così da permettere un minimo raffreddamento del motore.
Mi sono svestito molto e sto “perdendo la pelle” già da alcuni giorni, sembro un serpente durante la muta; cosa che accade, non perché io mi sia scottato, (oltre al fatto di essere già abbastanza difficile da arrossare naturalmente, vivendo in paesi caldi gran parte della mia vita, sono praticamente abbronzato tutto l’anno), ma semplicemente per disidratazione ed esagerata esposizione al sole.
Situazione, questa, che si ripete ogni anno, almeno una volta, ma non imparo mai la lezione, sono veramente un asino, non posso fare a meno di pensarci.

Passo la vita a curare i miei clienti, a consigliarli sulle cose da non fare e sugli atteggiamenti da non tenere, scrivo libri, articoli e manuali di comportamento per la vita avventurosa in luoghi ostili e poi quando mi trovo al sole, faccio esattamente il contrario di quanto predico ed insegno.
Probabilmente sono un pazzo furioso ed in questi frangenti, mi insulto spesso, pacatamente, ma lo faccio, deve essere una forma di scaramanzia, una sorta di esorcizzazione del pericolo che sto vivendo in quel momento.
A volte parlo con l’attrezzatura, in questo caso, la motocicletta, come se si trattasse di una compagna di avventura, con anima e cervello, tranquillizzandola e chiedendole di non cedere e di non mollare.
Mi giustifico, pensando che per insegnare 10, bisogna conoscere 100 ed aver provato 1000, ma è solo per non dover ammettere a me stesso, palesemente i miei errori e le mie esagerazioni.
Ho partecipato più volte a recuperi di dispersi nel deserto ed ho visto che non si tratta mai di una bella cosa, proprio mai.
Con queste ed altre idee in testa, arrivo finalmente alla casetta.
Mohammed è d’accordo con i miei pensieri ed afferma che sono un pazzo; io gli rispondo un simpatico “ e tu, allora?” scoppiamo a ridere.
Ci abbracciamo e ci raccontiamo un po’ di cose, non ci vediamo da quasi un anno.
Mi racconta di avere notizie di un gruppo di 4×4 di una agenzia tunisina, che trasporterà un gruppo di circa venti turisti in escursione, dalla non lontanissima ed ormai turistica oasi di Ksar Ghilane.
Sono gli ultimi della stagione, poi lui sbaraccherà.
In pieno inverno, quando i venti gelidi spazzano il deserto ed in estate, quando il sole arroventa sabbia e pietre, nessun turista si avventura su quelle piste, …quasi nessuno.
Mi distendo a terra e bevo come una spugna.
Mi torna l’appetito e così, mangio qualche boccone di pane e qualche forchettata di tonno in scatola.
Quindi, mi sdraio sul tappeto e mi addormento per quasi un’ora.
Mohammed è felice, perché ha catturato un fennec ed io sono contento, perché quel luogo, senza pavimento e con il tetto bucato, fatto di rami di palme presi chissà dove, mi sembra l’albergo più bello del Mondo.

Quando mi sveglio, stanno arrivando i turisti, viaggiano in convoglio su grossi fuoristrada accessoriati, hanno ottimi fanali, aria condizionata ed attrezzature al seguito, possono viaggiare veloci di giorno e anche di notte.
Si fermano a bere una bibita ed i loro autisti confermano la mia follia; mi conoscono bene e rivolgendosi ai turisti, tra l’ilarità generale, raccontano che sia inguaribile, non contagiosa e soprattutto mai dannosa né rivolta verso i clienti.
Bene, saluto tutti, scatto qualche foto, controllo moto, bagaglio e carburante e riparto.
Dopo un paio d’ore, più facili per il minor caldo, raggiungo la mitica Pipe Line

Si tratta di una specie di strada del deserto, a volte larga quanto una autostrada, tracciata dall’estremo Sud della Tunisia, ad iniziare da Borj El Kadra, per costruire e mantenere in efficienza l’oleodotto che dalla Libia, via Ghadames, porta il greggio al Mediterraneo nei pressi di Skira, innestandosi con una pista analoga in arrivo dal confine Algerino nei pressi di El Borma.
Spesso insabbiata, a volte sconnessa, in casi rari perfetta, rappresenta uno dei miti del fuoristrada per gli europei in cerca di avventure esotiche a portata di mano in Africa.

Oggi asfaltata per oltre cento chilometri, permette a chiunque di arrivare fino all’oasi di Ksar Ghilane, che ovviamente, ha perso completamente il suo fascino e di conseguenza gran parte dell’interesse da parte degli appassionati di fuoristrada.
Percorrendola in direzione Nord, arrivo velocemente eni pressi della deviazione, che in breve mi conduce in direzione Ovest, verso il campeggio dell’oasi di Ein Sbatt.
Si tratta di un campo molto spartano, con tende comuni di stile beduino e servizi comuni tipo campeggio europeo, un ristorantino accettabile ed una pozzanghera, che a me sembra una piscina olimpica.
È il tramonto e data la stagione, sono l’unico cliente della struttura.
Sono in ottimi rapporti di amicizia di tutti i ragazzi dello staff, che mi prendono in giro, trattandomi come un turista classico: mi chiedono se voglio fare un giro sul cammello, se voglio vedere i pesci della sabbia o se prenoterò un’escursione tra le dune con danze, balli e folklore locale, poi giurano di essere dei veri touareg discendenti di antichi guerrieri e feroci predoni. Io ricordo loro che la Tunisia è l’unico paese sahariano in cui i touareg non hanno diritto di accesso e che in Africa non ci sono cammelli, ma soltanto dromedari; scoppiamo a ridere, baci abbracci e cous cous, ovviamente nel piatto comune e con le mani, …non sono mica un turista davvero!

Quando mi sveglio, stanno arrivando i turisti, viaggiano in convoglio su grossi fuoristrada accessoriati, hanno ottimi fanali, aria condizionata ed attrezzature al seguito, possono viaggiare veloci di giorno e anche di notte.
Si fermano a bere una bibita ed i loro autisti confermano la mia follia; mi conoscono bene e rivolgendosi ai turisti, tra l’ilarità generale, raccontano che sia inguaribile, non contagiosa e soprattutto mai dannosa né rivolta verso i clienti.
Bene, saluto tutti, scatto qualche foto, controllo moto, bagaglio e carburante e riparto.
Dopo un paio d’ore, più facili per il minor caldo, raggiungo la mitica Pipe Line.
Si tratta di una specie di strada del deserto, a volte larga quanto una autostrada, tracciata dall’estremo Sud della Tunisia, ad iniziare da Borj El Kadra, per costruire e mantenere in efficienza l’oleodotto che dalla Libia, via Ghadames, porta il greggio al Mediterraneo nei pressi di Skira, innestandosi con una pista analoga in arrivo dal confine Algerino nei pressi di El Borma.
Spesso insabbiata, a volte sconnessa, in casi rari perfetta, rappresenta uno dei miti del fuoristrada per gli europei in cerca di avventure esotiche a portata di mano in Africa.

Oggi asfaltata per oltre cento chilometri, permette a chiunque di arrivare fino all’oasi di Ksar Ghilane, che ovviamente, ha perso completamente il suo fascino e di conseguenza gran parte dell’interesse da parte degli appassionati di fuoristrada.
Percorrendola in direzione Nord, arrivo velocemente eni pressi della deviazione, che in breve mi conduce in direzione Ovest, verso il campeggio dell’oasi di Ein Sbatt.
Si tratta di un campo molto spartano, con tende comuni di stile beduino e servizi comuni tipo campeggio europeo, un ristorantino accettabile ed una pozzanghera, che a me sembra una piscina olimpica.
È il tramonto e data la stagione, sono l’unico cliente della struttura.
Sono in ottimi rapporti di amicizia di tutti i ragazzi dello staff, che mi prendono in giro, trattandomi come un turista classico: mi chiedono se voglio fare un giro sul cammello, se voglio vedere i pesci della sabbia o se prenoterò un’escursione tra le dune con danze, balli e folklore locale, poi giurano di essere dei veri touareg discendenti di antichi guerrieri e feroci predoni. Io ricordo loro che la Tunisia è l’unico paese sahariano in cui i touareg non hanno diritto di accesso e che in Africa non ci sono cammelli, ma soltanto dromedari; scoppiamo a ridere, baci abbracci e cous cous, ovviamente nel piatto comune e con le mani, …non sono mica un turista davvero!

La mattina seguente, dopo una magnifica doccia, parto prestissimo, per evitare il caldo soffocante e percorrendo una pista abbastanza semplice e breve, raggiungo l’oasi di Ksar Ghilane, meta turistica ormai frequentata tutto l’anno.
Anche qui saluto tutti, faccio il pieno di benzina di contrabbando preso la casa di un vecchio amico e mi avvio verso Douz, su di una pista molto veloce, facile e divertente, che conosco perfettamente.
Devo, però, ancora fare i conti con un caldo opprimente e con la sabbia arroventata dal sole, così dopo ottanta chilometri circa, ormai quasi a metà percorso, passo una mezz’ora sdraiato in un tubo di cemento trovato sulla strada; il riposo in quell’improvvisato riparo incandescente come un forno, mi permette di riacquistare le forze.

Riparto, dopo essermi versato due litri di acqua in testa, ovviamente calda.
Arrivo a Douz verso le tre del pomeriggio, dove il mio simpatico collaboratore beduino Chokri, mi attende nel nostro ufficio.
Non mi chiede perché io abbia viaggiato da solo con quel caldo, mi conosce perfettamente e sa benissimo, che evidentemente sentivo il bisogno di farlo.
Con lui ho fatto di peggio ed in oltre dieci anni di collaborazione e di traversate Sahariane, ho vissuto momenti intensi e difficili.
Ci sediamo intorno al tavolino e sorseggiamo un te caldo sdraiati sul tappeto.
Non diciamo nulla, domani ci sarà tempo per parlare.

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