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Tunisia Crossover Ottobre 2019: Incontro Con Il Sahara

Racconto dettagliato giorno per giorno di un viaggio in Tunisia con le moto crossover e maxienduro sport tourer. Emozioni di viaggio tra luoghi noti e meno noti fino all’incontro con le dune del mitico Sahara, il Re dei Deserti!

Il ritrovo è fissato per le 12 al porto di Genova e visto che da quando il Ponte Morandi è crollato la circolazione nel Capoluogo Ligure è spesso difficoltosa, decido di partire di buon’ora, fermandomi a scattare qualche immagine lungo il percorso.

La giornata è magnifica, l’aria tersa ed il tepore dell’autunno cuneese invogliano a stare all’aria aperta e a viaggiare, nulla di meglio per la partenza di questa nuova avventura. Vorrei essere in volo e spesso proietto inconsciamente lo sguardo verso il cielo, dove nella zona di Mondovì vedo i miei amici in cielo con la mongolfiera. Li invidio un po’, ma io sono in partenza per ben altre esperienze in Terra d’Africa. Come al solito vorrei essere ovunque e fare di tutto: sono incontentabile e questo è il mio modo di essere. Ormai ci sono abituato e quindi, dopo una sosta ed un paio di scatti, apro la manetta e parto verso nuovi orizzonti.

Sempre con gli occhi che cercano cime e oggetti volanti lascio le Alpi e valico l’Appennino. Scendo rapidamente verso il mare ed arrivo al porto senza particolari difficoltà.

E’ presto e ho molto tempo a disposizione per attendere il gruppo in arrivo dal Nord Est della Penisola. Si tratta di una combriccola di amici-clienti della concessionaria Miazzon di Marostica, che ha accolto con entusiasmo l’invito a partecipare ad uno dei viaggi che ho organizzato per Suzuki Italia secondo il calendario appositamente preparato per la nota casa giapponese con il nostro marchio Passione Avventura. Ad essi si sono aggiunti un paio di amici a bordo dei loro mezzi personali, sempre cross over pluricilindriche adatte ai viaggi avventura, ma di altre marche giapponesi e italiane.

Quando arrivano, li faccio sistemare in colonna di fronte al traghetto che ci attende con il portellone aperto. Si tratta di un gruppo molto eterogeneo, all’apparenza composto da elementi simpatici, ma non proprio facilissimi da gestire, ma per adesso non ho tempo ad approfondire: un rapido saluto ed una altrettanto rapida presentazione e poi si sale sulla nave, dove ognuno fa uscire dalle valige qualcosa di appetitoso e tipicamente veneto. Si tratta di provviste per la maggior parte di origine suina e di bevande assolutamente e abbondantemente alcooliche. Iniziamo bene! Speriamo che in dogana tutto fili liscio…Dopo aperitivo, cena e racconti mirabolanti di precedenti imprese motociclistiche in terre esotiche, ingigantite dalle abbondanti libagioni, facciamo amicizia con i pochi altri avventurosi presenti sulla motonave e finalmente “andiamo in branda”, cullati da un mare non proprio calmo, ma accettabile.

Mi sveglio tardi e passeggiando sul ponte ho l’occasione buona per confermare con tristezza e sconforto il pessimo stato di manutenzione e la cattiva qualità dei servizi della linea Genova – Tunisi. Dovrei esserci abituato, ma non riesco proprio a farci il callo. Non ritengo giusto che su di una nave italiana regni l’anarchia e che la situazione di vita sia simile a quella di un suq magrebino. C’è chi fuma sigarette e pipa ad acqua e chi addirittura cucina in cabina, piedi sulle sedie e posteriore sui tavoli sono la norma nelle sale comuni, dove c’è chi dorme sui divani, chi bivacca nei corridoi e chi monta la tenda con materasso e sacco letto per le scale e nei passaggi cruciali.

I servizi, incluse bevande e cibi hanno i prezzi da autogrill ed una qualità appena accettabile, mentre i toast sono di solo formaggio per non utilizzare il prosciutto che è di origine suina, la carne è halal, come enfatizzato da un cartello pubblicitario a centro sala, il personale, nella maggior parte dei casi parla una lingua incomprensibile e la quasi totalità dei locali pubblici è chiusa o non funziona, così come il cinema.

La moschea è aperta, ma non mi interessa e quindi raggiungo gli amici intorno alla piscina (chiusa da anni e invasa da mozziconi e cartacce gettate dalla pregiata clientela presente a poppa) e mi aggrego alla allegra compagnia. Mi metto anche io a mangiare salumi e sottaceti, facendo baccano e con un comportamento sicuramente distante da quello della buona educazione. Avevo interiormente criticato il modo di fare dei miei compagni di viaggio, ma vista la situazione a bordo, ritengo che si tratti di una giusta e normale reazione all’ambiente circostante e quindi, sono provocatoriamente contento di partecipare a questa festosa e caotica insubordinazione.

Tra una fetta di salame ed un bicchiere di prosecco, arriviamo al porto di La Goulette, dove sbarchiamo e ci sottoponiamo pazientemente alle lunghe, caotiche ed inutili procedure burocratiche di ingresso in Africa. Fanno parte del gioco e da anni le prendo come una sorta di cerimonia di iniziazione per l’ingresso nel Continente Nero. Conosco la maggior parte dei poliziotti e dei doganieri e questo rende il passaggio più piacevole, cordiale e rapido.

Usciamo dal porto schivando le decine di venditori che ci assillano con le loro mercanzie e ci dirigiamo verso il bellissimo abitato di Sidi Bou Said, con le sue caratteristiche viuzze colme di bancarelle, le spettacolari terrazze sul mare e le pittoresche case bianche e blu. É giorno di festa e tra turisti e vacanzieri locali , si passeggia in un simpatico e coloratissimo caos. Ovviamente non poteva mancare un te’ alle mandorle o ai pinoli nel Café de Nattes, storico locale degli artisti frequentato a suo tempo anche da Albert Camus.

Ritorniamo alle moto e destreggiandoci nel traffico caotico della capitale tunisina, raggiungiamo l’autostrada che in breve ci porta ad Hammamet, dove un ottimo 5 stelle con spa ed ogni comfort possibile ci attende per una cena pantagruelica e per una confortevole notte di riposo prima del viaggio impegnativo che ci porterà verso Sud.

E’ un vero peccato lasciare la spiaggia e le comodità del bellissimo hotel dove abbiamo esagerato con le leccornie durante la prima colazione a bordo piscina, ma siamo venuti in Tunisia per un impegnativo tour in moto nel Sahara e non per una vacanza balneare sul Mediterraneo…

In sella quindi e via verso Sud in direzione di Kairouan, la città venerabile, ritenuta addirittura la quarta per importanza dai magrebini, a causa della sua antichissima Grande Moschea costruita nel primo secolo del calendario islamico. Parcheggiamo le moto davanti all’edificio religioso e visto che in zona conosco un po’ tutti, dopo trent’anni di viaggi e dopo aver vissuto in Tunisia per lunghi periodi, le lasciamo in custodia ai gentilissimi poliziotti della Brigata Turistica Locale.

Ci spostiamo a piedi tra le vie della medina, restaurata alcuni anni fa grazie all’intervento dell’UNESCO, visitiamo qualche laboratorio artigiano, scattiamo qualche foto al dromedario che con “orari da ufficio” fa girare la ruota del pozzo di Bir Barrouta, la cui acqua porta fortuna secondo la credenza locale, diamo uno sguardo anche al suq e poi dopo una sosta per un tè a casa di un conoscente che come d’abitudine ci fa salire sul terrazzo per ammirare la città dall’alto, rimontiamo in sella e partiamo ancora verso Sud.

Mi informo presso le autorità locali per avere notizie di prima mano  sulla situazione e su eventuali manifestazioni o contestazioni in atto, in quanto tra poco ci troveremo ad attraversare le zone nelle quali è iniziata la Rivoluzione dei Gelsomini, quella che dopo aver spodestato il Presidente Ben Alì e dilagata in tutto il mondo arabo creando le situazioni che tutti conosciamo. Si tratta dei luoghi più poveri della Tunisia industrializzata, quelli che vivono distanti dal turismo, dalla decorosa povertà tradizionale del Sud e dall’opulenza della capitale o delle fertili pianure centrali.

Kasserine, Sidi Bouzid, Gafsa e tutta la zona mineraria di Metalaoui e di Matameur, da sempre il punto debole ed in fermento della Tunisia che vuole crescere e prendere le distanze dal resto dell’Africa, ma non riesce a fare il passo necessario e ad  avvicinarsi all’Europa. Siamo nel periodo delle elezioni e non vorrei trovarmi con il gruppo tra i tafferugli che spesso vedono la popolazione di queste terre scontrarsi con le autorità locali.

Attraversiamo senza problemi le varie cittadine in sequenza e arriviamo dove la zona predesertica prende il posto di villaggi e campi coltivati. A questo punto decido di accontentare alcuni partecipanti che sono stati più volte in Tunisia e che desiderano portarmi in una stradina che conoscono e che a loro detta è meravigliosa, incastonata com’è nella bassa catena di montagne che ci separa dal deserto vero e proprio. Faccio presente le mie perplessità sulla percorribilità di uno dei due valichi disponibili, uno dei quali è adatto alle mountain bike, agli animali da soma o tutt’al più alle moto da trial o alle enduro race, mentre faccio presente che l’altro, asfaltato di recente si inerpica in una zona vietata. Insistono e mi sembra brutto oppormi alla loro richiesta, proprio a inizio viaggio, così passo in coda al gruppo e faccio “la scopa”, rassicurato dal fatto che mi dicono di avere i punti GPS perfetti, caricati su diversi dei loro sistemi elettronici, mentre io che già abitualmente non utilizzo il navigatore satellitare, in Tunisia non l’ho neanche portato…vada per la deviazione!

Ad un certo punto, vedo che stiamo per imboccare una strada sbagliata, lascio correre e iniziamo un divertente giro continuo che ci riporta per tre volte nello stesso luogo. Vanno come dei forsennati e in mezzo a quelle viuzze e con il traffico locale, non riesco a sorpassare la testa del branco. Al terzo passaggio la situazione diventa comica e un anziano del posto ci fa cenno con la mano per chiederci se siamo impazziti. A me scappa da ridere e nel frattempo ci raggiungono  e si accodano a noi una serie di motorini, automobili  e personaggi vari, che formano un chiassoso drappello di appendice a questa nostra simpatica “banda di disperati”.

Finalmente si fermano e riesco a parlare, ci chiariamo, li rimetto nella giusta direzione e mi viene confermato che il gps ha fatto le bizze e che ora hanno la situazione in mano.

Partiamo alla volta della valletta che diventa un sentiero di montagna, luogo che conosco benissimo, apro il gas e supero tutti, ma ormai siamo su di stradina strettissima e sulla quale è difficile l’inversione, mi fermo e concordo di andare avanti verso il punto più largo, così approfitterò dell’errore di navigazione, per farmi sfilare innanzi il gruppo e fare qualche bella ripresa in ambiente suggestivo.

Resto sbalordito e senza parole, quando dopo avermi superato, il gruppo continua e si infila nel bivio sbagliato.  Balzo in sella e li raggiungo, ma ormai siamo arrivati su di una mulattiera difficile dove i sassi smossi mettono in difficoltà le grosse moto da oltre 200 kg.

Aiuto alcuni a fare inversione e a scendere su quella che diventa una discesa insidiosa e impongo a tutti di aspettare sullo spiazzo sottostante, per evitare guai ulteriori.

Troppo tardi, ad attenderci c’è un mezzo della polizia in assetto antisommossa, con sopra due agenti più stupiti e preoccupati che decisi a redarguirci. Chiedono del capogruppo ed arrivo da loro prontamente. Mi spiegano quanto già sapevo: la zona è vietata ed considerata molto pericolosa, perché in quella valle, tempo fa, è stato ucciso dall’esercito il più pericoloso terrorista tunisino, che aveva forti legami con la popolazione locale, quindi, secondo loro, sono frequenti gli attacchi alle persone non del luogo e alle forze dell’ordine.

Proprio per questo loro ci scorteranno fuori dalla valle aprendoci la strada, ma ci pregano di andare il più forte possibile. Per fortuna nessuno del gruppo parla l’arabo o il francese e quindi traduco soltanto ciò che mi sembra più opportuno per evitare inutili preoccupazioni.

Si parte in carovana dietro al 4×4 blindato e la velocità sostenuta, con tanto di lampeggianti e a tratti con le sirene spiegate diverte tantissimo il gruppetto  ignaro di quanto realmente stia accadendo.

Arrivati nel villaggio di fronte alla caserma, tutti pesano di partire verso nuovi orizzonti, ringraziando il comitato di benvenuto, invece spiego, in parte, la gravità della situazione e anche il fatto che ci troviamo in stato di fermo. Le autorità faranno le foto a noi, alle targhe e ai documenti e trasmetteranno il tutto a chi di competenza. Per fortuna il comandante della stazione esce dall’ufficio e mi riconosce, mi abbraccia sorridendo, racconta a tutti di quando abitavo in zona e accompagnavo turisti in montagna e nel deserto e poi mi chiede come sia possibile che un uomo con la mia esperienza sia finito in quel luogo dimenticato da Dio e per di più con quelle moto così inadatte alle mulattiere…!

Mi vergogno come un ladro e mi sento come un bambino sorpreso a combinare guai, non è tanto la possibilità di perdere il privilegio di accompagnare turisti senza l’ausilio di accompagnatori locali, che mi indispettisce, quanto l’aver mancato così stupidamente di rispetto a chi mi da piena fiducia da decenni; sono proprio uno stupido, ma così è la vita.

Lascio la lista dei partecipanti ed il modulo del percorso prefissato al commissario, che gentilmente “ci mette a disposizione” una pattuglia che ci scorterà fino a Gafsa sulla strada più logica, quella che per noi è la più noiosa e che ci fa allungare di un’altra ora il già lungo ritardo sulla tabella di marcia. Ben ci sta!

Fulmino con un ordine perentorio, che non ammette repliche, chi sostiene di conoscere una scorciatoia, aggiungendo che ne conosco almeno dieci, ma che non desidero passare il resto del soggiorno a spese dello stato in una cella tre per tre!

Partiamo ancora una volta con la polizia davanti e purtroppo vedo subito che la Toyota degli agenti ha lo pneumatico posteriore destro molto sgonfio. Li sorpasso e segnalo la cosa, ma ormai si stava già per incendiare. Gentilissimi, rifiutano ogni aiuto e ci invitano a proseguire, perché è tardi e arriveremo a Tozeur al freddo e al buio.

Viaggiamo senza altre avventure fino all’hotel, dove ci sistemiamo e durante la cena completo il sermone con i particolari tralasciati lungo la strada. Non credo che da domani ci saranno più motivi per ribadire e puntualizzare ruoli, programmi e situazioni. Anche questa è l’avventura. Al fine di non destare preoccupazioni inutili, sottolineo, però, che sono certo di non aver corso rischi seri. La popolazione di quella valle è adirata con lo stato e si narra che abbia teso imboscate a poliziotti e militari, mentre in passato, viaggiando da solo quando abitavo in zona ho potuto constatare più volte la loro gentilezza nei confronti di uno straniero italiano.

Svegliarsi al mattino e salire sulla propria moto, viaggiando verso nuovi orizzonti è un piacere che soltanto i riders ed i motocowboy possono capire. Noi lo abbiamo provato per 10 giorni di seguito e non avremmo voluto fermarci più. Quindi stamattina dopo le avventure della giornata precedente, partiamo con più attenzione e molti buoni propositi.

L’obiettivo della giornata è quello di visitare le oasi di montagna.

Raggiungiamo dapprima Chebika dove ci concediamo una bellissima passeggiata nella gola ed un ristoro a centro oasi, poi  Tamerza ed infine Mides.

Scattiamo foto suggestive tra cascatelle, sentieri, canyon e panorami mozzafiato, poi ci fermiamo a pranzare in un vecchio ristorante con terrazza panoramica e ripartiamo alla volta di Tozeur.

Divido il gruppo separando coloro che prediligono fare più sterrato da quelli che preferiscono l’asfalto, la Strada di Rommel e le nuove varianti asfaltate che scendono dai monti verso la pianura sottostante ci permettono il lusso della scelta e addirittura, grazie alla cortesia della popolazione e dei poliziotti locali che si prodigano in spiegazioni, disegni e che spesso ci accompagnano per centinaia di metri, riusciamo anche a percorrere una meravigliosa parte di una nuova strada ancora in costruzione che attraverso scenari incredibili che ricordano il Grand Canyon Americano, ci portano nuovamente a Chebika, giusto in tempo per goderci lo spettacolo del sole che tramonta tra i laghi salati.

Rientriamo in hotel e ricongiungiamo il gruppo per la cena e per decidere insieme il programma di domani.

All’alba del quinto giorno qualcuno non è perfettamente in forma; la stanchezza accumulata nei chilometri percorsi, il cambiamento di clima e di abitudini di vita ed il cibo molto diverso da quello europeo si fanno sentire.

Decido di partire soltanto con chi lo desidera e di andare, come previsto dal programma,  in direzione di Nefta e da lì verso lo Chott El Garsa, dove nei pressi delle dune di Ong Jemel si trova il set principale del film Guerre Stellari.

Attualmente una parte di quella che fu una pista tracciata e costruita appositamente per le necessità di ripresa del film è stata asfaltata e consente a tutti di arrivare in quello che è diventato un simpatico e affollato ricettacolo di turisti provenienti dai porti dove attraccano le navi da crociera o dalle località turistiche della costa mediterranea.

Allo scadere dei trent’anni dall’inizio dei lavori è terminato il periodo contrattuale secondo il quale era vietato intervenire su tutto quanto riguardava il sito ed il set, come voluto dal regista G. Lucas, quindi le strutture di cartongesso sono state rabberciate alla meglio e sono spuntate un po’ ovunque le bancarelle di paccottiglia, contornate di venditori ambulanti di ogni genere, di ammaestratori di animali o di semplici mendicanti.

In pochi istanti siamo stati circondati da un cinquantina di Toyota Land Cruiser bianche condotte da spericolati autisti locali, colme di chiassosi turisti per la maggioranza asiatici (8 per auto) che appena scesi dai mezzi si sono assiepati intorno a noi, scattando fotografie e selfie di fronte alle nostre moto. In breve siamo diventati noi l’attrazione del giorno ed abbiamo consentito a turisti ed autisti di posare accanto ai nostri bolidi.

Dieci minuti di visita e poi siamo partiti, spostandoci di poche centinaia di metri ed entrando nel magico mondo del deserto di sabbia, delle dune e delle piste di sabbia e sale. Uno spettacolo eccezionale, offerto da quello che resta pur sempre un luogo meraviglioso che vale la visita.

Siamo soli nel Sahara e l’atmosfera è surreale, qualcuno è estasiato, altri sono rapiti dalle dune di sabbia e si divertono a correre su e giù, per la maggior parte di loro si tratta della prima volta in un ambiente del genere e decido di lasciarli giocare per una mezz’ora, senza dire nulla. E’ necessario godersi il posto, l’emozione ed il momento.

Poi richiamo l’attenzione del gruppo e guido tutti quanti verso la parte più bella dello chott, la pista è molto facile ed il lago salato è quasi asciutto, quindi si viaggia senza problemi, soltanto alcuni tratti, un po’ insabbiati per qualche decina di metri mettono in ansia i più timorosi, ma con qualche consiglio e con qualche provvidenziale zampettata, restiamo tutti in sella e raggiungiamo nuovamente l’albergo di Tozeur, dove ci attende il resto della combriccola.

Il riposo fuori programma ha rimesso in sesto il fisico e lo stomaco di tutti quanti e quindi siamo pronti per ripartire al gran completo.

Direzione Kebili, con l’intento di percorrere la spettacolare strada asfaltata che taglia per oltre 60 chilometri lo Chott El Jerid, il più grande lago salato della regione, uno dei più vasti del mondo anche se su questo argomento regna una grande confusione e non è questo il luogo per entrare in polemica o in discussione con le varie misurazioni e le statistiche pubblicate on line.

Resta intatta la bellezza e la suggestività del luogo e dal momento che ho visto quasi tutti i laghi salati simili del mondo, posso affermare senza dubbio che questo è uno dei più belli, mentre la strada che lo attraversa è assolutamente unica nel suo genere.

Alcune volte è completamente secco o quasi, altre volte è totalmente allagato, dipende dai periodi e dalle stagioni. Questa volta lo abbiamo trovato abbastanza asciutto, cosa che ci ha permesso, con un po’ di attenzione, di percorrere alcuni tratti di alcune delle piste che lo attraversano.

Abbiamo potuto percorrere, con qualche difficoltà e non pochi problemi di equilibrio, le poche centinaia di metri che separano l’asfalto dalla nota carcassa di un bus, che giace abbandonata e quasi completamente distrutta, in pieno lago salato, a monito di chi si avventura incautamente e resta insabbiato.

Divertendoci a fare traversi e derapate, abbiamo anche rischiato qualche scontro, ma tutto è andato bene e ci siamo divertiti, ma la divagazione ci ha costretti ad un’ora di sosta presso un autolavaggio, per cercare di disincrostare le moto, ridotte veramente in pessime condizioni dal fango salmastro dello chott.

Lungo il percorso, a poca distanza dalle saline, che ricordano quelle siciliane, sebbene si presentino più trasandate e  molto  meno curate di quelle italiane, abbiamo pranzato, sempre con le provviste portate dal Veneto, riparandoci da vento, sole, sale e deserto, presso la cadente costruzione di Hamma, l’unico venditore di souvenir per turisti ancora rimasto aperto dopo la crisi del dopo rivoluzione. Non ha praticamente più nulla da vendere, ad eccezione di qualche cartolina spiegazzata e scolorita, alcuni pezzi di sapone ormai vetusto e poche rose del deserto in pessimo stato, ma la sua cortesia è rimasta tale e ci ha permesso di sistemarci nel suo “locale”, ormai quasi distrutto e completamente spoglio o invaso da datteri messi a seccare e cataste di vecchi arredamenti rotti ed inservibili. Lui resta granitico ad aspettare turisti che forse non verranno mai più ed ai quali non ha comunque nulla da offrire, ma in qualche modo tira avanti, sdraiato sulla panca di cemento, fatalisticamente speranzoso che qualcosa possa accadere e che vengano tempi migliori, seguendo una filosofia di vita incomprensibile a noi occidentali.

Lo saluto dopo avergli lasciato mancia, pane e formaggio e lo rassicuro dicendogli che tornerò tra meno di un mese, ovviamente se Dio lo vorrà e portandomi il cibo che altrimenti non troverò.

Ripartiamo ed in breve raggiungiamo prima Kebili e poi Douz, con i famosi palmeti di datteri Deglet Nur e le sorgenti di acqua calda.

Hotel quattro stelle per un meritato riposo che la maggior parte dei partecipanti aspetta con piacere. Soltanto uno, il più giovane del gruppo vorrebbe guidare ancora un po’.  Lo accontento e parto con lui per un giro di una sessantina di chilometri tra dune, villaggi e laghetti poco noti al turismo classico.

Ci godiamo un tramonto da film e rientriamo in hotel per la serata con i miei amici tunisini, tra i quali spicca Chokri, compagno di avventure e di viaggi e lavori nel deserto tunisino dei miei ultimi 25 anni.

Dedichiamo la mattina alla visita del mercato di Douz, dal momento che è giovedì.

Si tratta di una ottima occasione per passeggiare tra le bancarelle e le merci di un mercato locale, per nulla influenzato dalla presenza di pochissimi turisti. C’è veramente di tutto e si ha la vera percezione di trovarsi in Africa.

Colori, rumori, odori e soprattutto profumi non lasciano spazio a dubbi di alcun genere, il sapore dell’Africa è inconfondibile.

Approfittiamo della stagione per assaggiare e comperare i datteri del nuovo raccolto che è iniziato da pochissimi giorni; sono deliziosi e non ci facciamo scappare questa golosa opportunità.

Terminata la visita del mercato ci prepariamo per il tratto di viaggio che ci porterà all’interno del deserto.

Si tratta di una specie di cerimonia che ho fatto centinaia di volte nella vita, ma che ancora mi affascina. Il pieno di benzina, gli acquisti di alimenti e le scorte di acqua potabile, il controllo dei livelli dei liquidi dei mezzi, la pressione degli pneumatici, la lubrificazione delle catene di trasmissione, la protezione da polvere, sole e sabbia per  mezzi, attrezzature, bagagli e uomini, il controllo dei sistemi di trasmissione satellitare, i generi di conforto personali sui quali ognuno ha le proprie esigenze e le proprie priorità, un insieme di azioni e di situazioni che affascinano e che assorbono l’attenzione di chi è appassionato di avventura ed ha sognato per mesi un tour come questo.

Intorno alle ore 11, preparati e motivati partiamo alla volta del Sahara e delle sue mitiche piste tra le dune.

Percorriamo la prima ora di viaggio sulla strada abbastanza anonima che si proietta verso le montagne e poi al bivio con la Pipe line, la imbocchiamo dopo una sosta per foto e ammonimenti sulla possibilità di incontrare sabbia, asfalto rotto e improvvisi e pericolosi attraversamenti di ouedi, i temibili torrenti del deserto, quelli che incredibilmente causano più problemi della sabbia.

Le mie previsioni sono state corrette, sulla pista asfaltata, troviamo tratti insabbiati, improvvise ed enormi buche e soprattutto un paio di guadi che non creano vere difficoltà, ma impensieriscono i meno avvezzi al territorio africano e sono la gioia dei più smaliziati.

Dopo un’altra mezz’ora di viaggio, faccio una piccola deviazione su sterrato facile per raggiungere una pozza d’acqua calda, affiorata pochi anni fa durante le perforazioni per la ricerca del petrolio e diventata in breve una attrazione per turisti, con il solito contorno di bancarelle e minimi servizi, quali una toilette molto rustica, un paio di tende che offrono ombra e riparo dagli elementi atmosferici, qualche sedia e un paio di catapecchie che potrebbero essere utilizzate per una notte in campo veramente molto, molto basico.

Scattiamo qualche istantanea e ripartiamo in direzione di Bir Soltane,  luogo mitico nei tempi d’oro della Pipe Line. Nulla di più che una costruzione a poca distanza da un pozzo, con un abbozzo di campeggio e un piccolo bar al punto di incontro di tre piste.

Il gestore Shadok, simpatico, paziente e fatalista come tutti gli abitanti del deserto, ha vissuto momenti di relativo successo quando arrivare al suo caffè viaggiando su una pista in pessime condizioni regalava sensazioni incredibili e la sua vista sembrava un miraggio. Oggi che la strada è stata asfaltata, tutto ciò non ha più molto senso ed il locale è cadente e sfornito, bisognerebbe ammodernarlo e renderlo adatto alla nuova tipologia di turisti che viaggia in bus o in automobile e che pretenderebbe servizi di buon livello a basso costo, ma ovviamente il gentilissimo proprietario non ha fatto nulla di tutto questo e resta seduto tutto il giorno tra i suoi pochi pacchetti di biscotti messi in vendita tra cumuli di sabbia e polvere che hanno invaso le stanze.

Sapevo che sarebbe stato così ed ho portato pane e cibo, mentre a lui ho chiesto tutto ciò che poteva fornirmi: caffè, tè, bibite, olio e arissa…abbiamo sistemato il locale spostando e pulendo sedie, tavoli e panche e siamo riusciti a banchettare divertendoci un sacco.

Siamo ripartiti per completare il percorso della giornata ed in breve siamo arrivati all’oasi di Ksar Ghilane, dove ci siamo sistemati nel campo che avevo prenotato. Il gestore è un amico di lunga data che da poco si è spostato dal campo dell’oasi di Zmela a questo.

Ha appena iniziato i lavori e c’è ancora veramente tantissimo da fare, ma lui non si scoraggia e ci offre il meglio di quanto sia possibile in un posto del genere; non ci possiamo lamentare.

A dire il vero nell’oasi esistono anche altre sistemazioni interessanti, tra  le quali un nuovo piccolo alberghetto con servizi in camera, molto basici, ma comunque puliti, che però non interessa ai miei clienti e poi il campo di lusso con tensostrutture e servizi in muratura all’interno, piscina, climatizzazione, ristorante di alto livello, ecc., ma che ha un costo davvero elevato, che non è stato ritenuto necessario dai partecipanti al viaggio.

Prima di terminare la giornata ci concediamo una scorribanda in quad che ci conduce prima al forte romano, uno dei tanti ksur di cui ho già raccontato e poi al monumento dedicato al generale Leclerc, in ricordo della sua valorosa battaglia sostenuta nel 1943. Si tratta di una semplice colonna apparentemente priva di reale interesse pratico, ma prima dell’asfalto si trattava di un punto segnato sulle mappe, indispensabile “balise” per la navigazione a vista con bussola e cartina, “robe d’altri tempi” che ricordo con piacere e nostalgia.

I quad sono piccolini e depotenziati, non ostante io conosca bene la guida, ci viene comprensibilmente imposta una andatura quasi turistica, però ci divertiamo ugualmente e pensiamo a quanto sarebbe bello avere dei mezzi come quelli che ho in Italia e viaggiare tra quelle dune con il gas aperto, ma per oggi va bene così.

Dopo il giro in quad, parto con l’incredibile sidecar motorizzato Suzuki GSX e portato a 1400 cc e mi addentro con il suo proprietario sulla pista che viaggia diretta verso Douz. Onestamente non mi aspettavo che andasse bene così. Continua ad essere un mezzo che non mi piace, ma mi complimento sinceramente con il suo costruttore, si tratta di un marchingegno veramente stupefacente.

Rientriamo al campo e dopo un aperitivo sulla sabbia ci deliziamo con una cena di grande qualità; complimenti ad Hamara e a tutto il suo staff.

Sveglia all’alba per godere della straordinaria vista del sole che sorge tra le dune, uno spettacolo indimenticabile. Poi a malincuore ci si stacca dal campo e si lascia la tenda con un po’ di malinconia, perché come ripeto spesso, il deserto ti rapisce l’anima, la tiene in ostaggio e quando te la restituisce ne tiene un pezzetto per sé. Nessuno avrebbe voglia di ripartire, nessuno ricorda esattamente che giorno sia, ma il tempo corre e dobbiamo ancora fare molta strada, quindi ci rimettiamo in sella e dopo pochi istanti il rombo delle nostre moto ci riporta la voglia di correre e di aprire il gas.

Percorriamo il nastro d’asfalto, tutt’altro che ben tenuto che copre i 13 km che separano l’oasi di Ksar Ghilane dalla “mitica” Pipe Line, la strada che attraversa il deserto tunisino dall’estremo Sud fino al mare. Realizzata per rendere possibile la costruzione del gasdotto che porta il prezioso combustibile attraverso lo stato tunisino fino al  Mediterraneo, dove si inabissa per arrivare in Italia.

Fino a pochi anni fa la strada che ne percorreva  il tragitto era completamente sterrata, attraversava molti ouedi con ponti a sfioro ed era insabbiata per lunghi tratti. Percorrerla con i mezzi 4×4 o con le moto da enduro era una avventura riservata agli esperti, che raggiungevano, scortati dalla polizia, allora come oggi, i punti estremi del paese presso El Borma ed El Kadra, capolinea della pista rispettivamente al confine con l’Algeria e con la Libia.

Oggi i primi 100 km di questa pista, da El Hamma fino al bivio per l’oasi di Ein Sbatt sono stati asfaltati con grande dispiacere degli appassionati di fuoristrada, ma il progresso, anche quello demagogico e distante dalle reali esigenze delle popolazioni locali e del turismo, fa il suo corso e non ci si può sottrarre, in Africa, come in ogni continente, all’avanzare del bitume.

Noi sfruttiamo questa caratteristica a nostro favore e procediamo ancora verso Sud, fino all’inizio dello sterrato e non molto distante dal punto più meridionale di quella zona, raggiungibile senza permessi per il deserto e senza personale locale o scorta armata. Scattiamo qualche foto sullo sterrato, facciamo un brindisi, tocchiamo con mano i tubi avanzati nella costruzione del condotto, abbandonati da decenni e ritorniamo per qualche minuto sui nostri passi, fino all’incrocio che ci consente di prendere la via per Tataouine, anche questa asfaltata recentissimamente (da meno di un anno).

Viaggiamo spediti nel caldo torrido del deserto che non ostante la stagione autunnale ci fa sudare abbondantemente e raggiungiamo il punto in cui prendo una decisione difficile. Scelgo di lasciare l’asfalto nuovo fiammante in favore di uno sterrato che conduce a Djuiret e a Chenini. Mi fermo per spiegare la mia idea, per rassicurare il gruppo e per dare qualche consiglio ai meno esperti.

Partiamo con grande prudenza e aumentiamo il ritmo progressivamente. Mi fermo ancora prima di una salita impegnativa, ma constato che ormai, tutti galvanizzati e forti di una settimana di Africa, i “miei piloti” sono in ottima forma e si stanno divertendo un mondo in sella alle loro nuovissime pluricilindriche crossover.

Sterrato, poi stradina in uno spettacolare canyon scavato nella roccia ocra e finalmente Chenini , incredibile nella sua forma arroccata sul monte. Il più preoccupato di tutti alla partenza, mi chiede di poter rifare almeno 10 di quei chilometri meravigliosi, perché non si è mai divertito così tanto! Lo tranquillizzo dicendo che siamo appena all’inizio di quella delizia motociclistica e ci sono ancora almeno cento chilometri di emozioni che ci aspettano.

Ci dirigiamo a Tataouine, che dopo giornate intere passate tra le dune e le montagne del deserto tra piccoli villaggi e abitazioni sperdute nel nulla, sembra già una città ed il suo piccolo traffico caotico ci sembra già fastidioso. Prima di viaggiare verso Matmata decido di fare una puntata a Ksar Ouled Soltane, uno dei tanti granai fortificati (ksar o ksur o ksour a seconda della traduzione e soprattutto della traslitterazione dalla lingua araba), che sono i depositi di derrate alimentari che nell’antichità permettevano la sopravvivenza a quei popoli, spesso costretti a difendersi da assedi e scorribande imposte loro dai predoni provenienti a volte dal mare e altre dal deserto.

Ouled Soltane è il più noto di questi ed in alcune parti il meglio conservato o addirittura restaurato; proprio per tale caratteristica è assurto a simbolo di tutti gli ksar tunisini ed è finito sui depliant pubblicitari della regione. Purtroppo l’ondata di povertà e di trascuratezza che ha investito il paese dopo la rivoluzione, non ha risparmiato neanche questo gioiello della storia tunisina. Alcune parti stanno crollando e un rottame di automobile, finito incredibilmente tra le mura cadute, fa bella mostra di sé arrugginito e ridotto a poco più di un telaio.

Ovviamente né le autorità locali, né coloro che ci lavorano e vivono grazie ai turisti che giungono sul luogo ha mai pensato di rimuoverlo, anzi, il fatalismo e l’incuria tipiche del modo di vivere degli abitanti del luogo, ha fatto sì che altra immondizia andasse ad accumularsi alla carcassa, formando una piccola discarica incastonata in un sito  “patrimonio Unesco”…!

Il tempo passa e si è fatta l’ora di pranzo, ma in loco non ci sono ristoranti e quindi chiedo al gestore dell’unico caffè disponibile di lasciarci mangiare all’interno del suo locale, avvertendolo preventivante che la maggior parte di quanto consumeremo è di origine suina. Acconsente con gioia e ci riserva l’intero locale. Visto che è venerdì ed è l’ora della preghiera e dato che siamo praticamente nel piazzale della moschea, a pochi passi dall’edificio religioso, prudentemente ci chiude dentro al bar, spranga porte e finestre e noi mangiamo lontano da sguardi curiosi e senza essere troppo offensivi nei confronti di chi ci sta ospitando.

Chiedo a tutti di non consumare alcool anche se il simpatico gestore dice che possiamo farlo, ma mi sento già fin troppo invadente e non voglio che si esageri. Quando sono da solo in giro per il mondo sono molto più rispettoso di usanze e culture locali con le quali ho il piacere di interagire, mentre quando accompagno turisti, devo per forza adattarmi ed essere più malleabile, però non mi piace esagerare…e poi così raggiungiamo due obiettivi: quello di non guidare dopo aver bevuto bevande alcooliche e quello di consumare bibite fornite dal padrone di casa, che ci procura anche pane, olio, olive, arissa e qualche porzione di tonno in scatola.

Ovviamente quasi tutti avrebbero piacere di utilizzare una toilette, ma nel villaggio gli unici servizi igienici pubblici sono quelli della moschea e quindi veniamo gentilmente invitati ad orinare contro i muri delle case appena fuori dal centro, in compagnia dei somari, parcheggiati al sole ed in attesa di riportare a casa i fedeli dopo la preghiera.

Prima di ripartire, ci offriamo agli scatti dei giovani che desiderano toccare e farsi i selfie di fronte alle nostre motociclette, si tratta di un equo scambio, visto che abbiamo fatto la stesa cosa con i loro carretti, le loro vecchie auto ed i loro mitici pick up Peugeot 304, 404 e 504 che continuano inarrestabili il loro fumante e cigolante servizio a dispetto dei milioni di chilometri accumulati nel corso della loro vita e incuranti del fatto di essere, nella maggioranza dei casi, molto più anziani dei loro conducenti.

Finalmente ripartiamo salutati dai presenti e viaggiamo nuovamente verso Tataouine, dove lasciata la strada percorsa poche ore prima ci addentriamo tra magnifiche valli di erosione, nelle quali una stentata agricoltura di sussistenza strappa qualche frutto ad un terreno arido e apparentemente sterile.

Mandorli, ulivi e palme da dattero, coltivate in piccoli terrazzamenti si alternano a zone brulle e a piccoli appezzamenti arati a mano con l’aiuto dei quadrupedi, dove se dio vuole si raccoglierà un po’ di foraggio per gli animali ed un po’ di frumento per gli uomini.

Passiamo Goumrassen e Ksar Heddad, per arrivare in un susseguirsi di curve a strapiombo sui canyon, fino a Toujane, dove siamo ospiti di un caro amico che conosco da almeno vent’anni. Di recente ha iniziato a trasformare la sua umile dimora in un beb molto rustico e molto particolare. Anche qui baci e abbracci, non ci si vede da aprile, poi un tè per tutti, accompagnato da fichi secchi e da datteri per chi lo desidera.

Incontriamo un gruppo di motociclisti tunisini, ma non ci fermiamo a parlare con loro, perché voglio assolutamente dare la possibilità ai ragazzi di fotografare Toujane dall’alto con la luce giusta. L’intera zona, pare fuori dal tempo e ricorda un presepe. Anche questo pezzo di tour vale il viaggio.

Dopo pochi chilometri arriviamo a Matmata ed il 4 stelle veramente sovrastimato, nel quale abitualmente soggiorno, ci accoglie con il suo relativo comfort, che dopo i giorni trascorsi nel profondo Sud, ci sembra già un lusso sfrenato. Incredibilmente ci ritroviamo nello stesso hotel dei motociclisti tunisini, che ci raccontano della loro passione per il mototurismo. Uno di essi parla benissimo italiano, la lingua di cui è insegnante all’università di Tunisi. Si tratta di giovani che amano viaggiare e vorrebbero girare il mondo, sono molto diversi dai pochi motociclisti tunisini che abitualmente utilizzano vecchie moto sportive giapponesi o economiche naked asiatiche smarmittate per sfrecciare rombando follemente nel traffico cittadino o per esibirsi in chiassose accelerazioni e burn out spettacolari in mezzo al caos delle metropoli costiere. Questi piloti, invece,  sono in possesso di moto crossover come le nostre, grandi endurone da viaggio, magari un po’ datate ma assolutamente ben tenute e curate nei particolari, molte di queste sono Honda Varadero e soltanto uno tra tutti utilizza una Harley 883.

Ci scambiamo un sacco di pareri e di idee, mentre il sidecar prototipo di Mario uno attira ovviamente le attenzioni, come è giusto che sia; si tratta di un pezzo unico di genio e di follia motociclistica. Ci fa molto piacere sentire come la maggior parte di questi centauri si auguri un futuro di progresso, nel quale il loro modo di vivere, rispettoso di quello di tutti gli altri sia molto simile a quello che desiderano gli Europei e nel quale sia possibile per tutti vivere in pace viaggiando attraverso i continenti per scoprire il bello che c’è sul nostro pianeta.

Ci tengono moltissimo a farcelo sapere e sinceramente mi auguro che in un futuro non troppo lontano possano realizzare il loro sogno. A dire il vero, la sera al bar li ho visti eccedere con le birre e credo che abbiano iniziato a progredire partendo dalla parte sbagliata, ma così va il mondo.

Intanto, consci di non essere gli unici ad apprezzare le bevande alcooliche, andiamo a dormire per riposarci prima della galoppata verso il Nord.

Passare la notte in una camera scavata nella roccia, permette di restare in un silenzio quasi assoluto, riposando profondamente sul materasso che poggia direttamente su di un rialzo di pietra, una specie di altare scavato in una nicchia, che costituisce un letto tanto originale quanto confortevole, a patto di non soffrire di claustrofobia, perché le camere troglodite, ovviamente non hanno finestre.

Secondo alcuni miei clienti sembra di essere in una tomba, ma io non la penso così e non vedo l’ora di dormirci dentro. Mi sveglio riposatissimo e pronto ad affrontare gli oltre 400 chilometri che ci aspettano verso Nord, in direzione dell’Italia.

Spero che tutto il gruppo abbia passato una notte confortevole e mi accingo a preparare la moto. Tra datteri, fichi secchi, i regali dei vari amici incontrati per strada e le attrezzature varie, non so più dove mettere le cose, ma per fortuna abbiamo l’auto di supporto al seguito che ci permette di viaggiare leggeri. Penserò domani a sistemare il bagaglio con cura e attenzione, caricando il tutto per il ritorno in nave ed il trasferimento autostradale a casa.

Organizzo una breve visita ad un paio di case troglodite dove abbiamo l’occasione di assaggiare il tipico “pane, olio e miele”, una prelibatezza caratteristica di quelle montagne che fanno da barriera tra il mare ed il deserto. Passiamo anche dai luoghi in cui sono state girate importanti scene della saga di Guerre Stellari ed ovviamente facciamo una foto davanti alla scritta di Matmata, che accoglie trionfalmente i turisti imitando quanto avviene ad Hollywood e che ricorda gli anni del boom turistico seguito al lavoro del regista George Lucas.

Tempi lontani che forse non torneranno più e che sono ulteriormente ed irrimediabilmente passati anche a causa della recente rivoluzione, della Primavera Araba e degli attentati terroristici degli anni scorsi. Di quel periodo resta poco, qualche turista in tour da Jerba e alcuni avventurosi fuoristradisti che provengono dal Sahara e viaggiano verso Nord per raggiungere il porto e fare rientro in Europa.

Dopo pochi tornanti facciamo il pieno alle porte di Matmata Nouvelle, perché dopo saliremo sull’autostrada, che è ancora in fase di ultimazione e che per adesso non ha stazioni di servizio per oltre 200 chilometri.

Viaggiamo speditamente senza intoppi fino all’uscita di El Jem, l’antica città romana di Tisidro. Comodissima l’autostrada, però è un peccato non viaggiare sulla costa, caotica, pericolosa a causa degli imprudenti autisti locali, sporca e disordinata, ma proprio per questo tipicamente africana. É il prezzo che si deve pagare alla necessità di spostarsi rapidamente.

Una volta arrivati in centro città, ci sistemiamo a pochi passi dal bellissimo e ottimamente conservato anfiteatro romano, che testimonia l’antica potenza dei commercianti di Tisidro, che tra il 200 A.C. ed il 300 D.C. dominarono la scena commerciale e politica del Nord Africa, grazie alla posizione strategica della loro cittadina, punto di incontro tra le piste Sahariane, il porto di Cartagine, le strade dirette verso il Medio Oriente e le fertili pianure del Nord Africa, dove ancora adesso si coltivano ortaggi, frutta, grano e soprattutto dove si trovano magnifici uliveti ormai millenari.

Troviamo posto nel dehor del caffè del vulcanico Hamed, che appena mi vede, si prodiga in urla spettacolari allo scopo di farci posto tra la folla. Baci, abbracci e pacche sulle spalle, non ci vediamo da aprile ed il fatto di avergli portato un gruppo di turisti lo rende ovviamente contentissimo. Mangiamo una deliziosa grigliata di agnello e dopo la visita dell’anfiteatro ritorniamo in autostrada in direzione di Hammamet, che raggiungiamo in poco più di un’ora id viaggio.

Siamo nuovamente nel lusso del cinque stelle, che dopo giorni di Sud e di deserto ci sembra surreale e anche un po’ esagerato. Però alle comodità ci si abitua in fretta e tutti apprezzano piscina, massaggi, ottima cucina, camere ampie e bevande fresche.

È passata una settimana e sembra ieri che siamo partiti dallo stesso piazzale, però nel frattempo abbiamo vissuto esperienze forti ed incalzanti, che sembrano, anzi sono tantissime e che paiono incredibili.

Un sogno realizzato per chi non aveva mai visto il Sahara e un piacevole ritorno per coloro che lo avevano affrontato in altre occasioni.

Andiamo a dormire stanchi ma veramente soddisfatti; la felicità è tangibile e la si legge sui volti abbronzati dei partecipanti.

Lascio la mattinata libera ed ognuno interpreta il giorno di vacanza a modo suo. Qualcuno dorme, si rilassa a bordo piscina o in spiaggia, altri vanno in taxi fino al centro di Hammamet, altri ancora sono indaffarati con moto e bagagli da preparare per il rientro in Italia.

Io personalmente dormicchio fino alle nove e poi faccio una prima colazione spettacolare a bordo piscina. Conosco la maggior parte del personale dell’hotel, che mi coccola con crepes al cioccolato, dolcetti vari e servizio da pascià.

Mi godo queste piccole cose e poi raggruppo i “miei motociclisti”, saluto tutti con un “Au revoir Inshallah” e parto in direzione della zona turistica di Yasmine, dove, come promesso,  ci fermiamo per gli ultimi acquisti di souvenir da portare a casa ad amici e parenti.

Ancora una settantina di chilometri di autostrada e poi arriviamo al porto di La Gouolette, in una calda giornata di bel tempo quasi estivo. Questo caldo ci mancherà, una volta tornati in Europa e non sarà la sola cosa a mancarci dell’Africa e della sua calorosa, chiassosa, caotica e ammaliante accogliente atmosfera.

Ci attendono le solite formalità burocratiche, con le code e le inspiegabili miscugli di gruppi nei vari punti di controllo e di sosta, ma “C’est l’Afrique” e cerchiamo di divertirci anche in questi frangenti.

Siamo quasi i primi ed i gentilissimi agenti portuali ci fanno passare davanti a tutti, perché le moto sono agili e snelle e guidate da turisti, quindi meritano la “pole position”.

In breve siamo a bordo e ci sistemiamo nelle cabine.

Ritorniamo in fretta al bar di poppa, ritroviamo gli amici dell’andata e facciamo notte a raccontarci reciprocamente mirabolanti avventure e incredibili situazioni, ovviamente tra salumi e prosecco, che ancora non sono terminati dopo oltre 2000 km di Africa…!

Siamo giunti al termine di questa bellissima avventura, sulla nave guardiamo le prime foto che abbiamo scaricato e qualcuno, grazie alle prodigiose capacità degli smartphone di ultima generazione, ha già montato qualche spezzone di filmato.

Appena giunti ad agganciare il roaming internazionale, scappando dalle “grinfie” dell’operatore marittimo che applica delle tariffe scandalose, ci diamo da fare per riconnetterci con il Mondo, dopo una ventina di ore di isolamento forzato.

Qualcuno posta sui social, altri contattano mogli, figli e fidanzate, io lavoro già sul prossimo viaggio, tutti quanti cerchiamo di capire come sarà la situazione meteo al nostro ritorno.

Poco prima dello sbarco ci salutiamo calorosamente con abbracci e strette di mano, qualcuno si commuove. Abbiamo passato soltanto 10 giorni insieme, ma la strada, il campo, la moto, i paesaggi mozzafiato, il deserto e la voglia di vivere e di scoprire il mondo, ci hanno resi partecipi di una avventura tanto indimenticabile quanto intensa.

Sembriamo amici da una vita e già parliamo di prossimi viaggi e di prossime fantastiche esperienze: il Mal d’Africa ha colpito ancora e non c’è rimedio!

Scendo dalla nave accolto dai 25° notturni di Genova, non male, anche se un violentissimo acquazzone mi investirà per pochissimi chilometri all’uscita dal capoluogo.

Poi tempo bello fino alle montagne e fino a casa al cospetto del Monviso, dove però i 30 gradi restano soltanto un bellissimo ricordo Africano.

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