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Cosa è lo spirito del motocowboy

Definire e delineare i vari modi di andare in moto, è apparentemente, abbastanza semplice. Al giorno d’oggi, già la tipologia di moto scelta per la propria attività, rappresenta una vera dichiarazione di intenti.

L’industria motociclistica, mette a disposizione di noi appassionati, motociclette specifiche per ogni uso. Dal trial allo spedway, dalla velocità in pista al motocross. Anche le nuove tendenze, vengono prontamente assecondate ed ecco le custom, le moto da dirt-track e le pit-bike o le supermotard…e l’elenco potrebbe continuare per più di una pagina.
Ma insito nello spirito del motociclista, fin da quando le moto erano di un tipo solo, è l’individualismo, miscelato spesso con lo spirito di appartenenza ad un gruppo.
Infatti, praticamente tutti i motociclisti, tendono ad agire da soli, seguendo il loro istinto ad uscire dalla massa ed il loro spirito di libertà; però poi, molto spesso, si riuniscono in gruppi, a volte quasi dei branchi, di piloti legati dallo stesso modo di interpretare la motocicletta.

Ecco quindi, che più del tipo di moto, è importante considerare l’utilizzo che se ne fa, se si vuole veramente capire l’animo dei riders.
Molte persone, praticano il motociclismo con lo scooter ed altri affrontano il tragitto casa – ufficio, con una maxi cruiser nata per le lunghe cavalcate autostradali. Alcuni si recano al bar con la super sportiva da pista ed altri vanno a scuola con l’enduro da estremo.
Da questo punto di vista, diventa ancora più semplice definire il motocowboy, pur nelle sue più diverse sfaccettature e declinazioni.

Preciso, che il termine “ motocowboy”, che io uso molto spesso, non risulta essere codificato in alcun modo. Non credo di averlo inventato io, ma non saprei assolutamente dire dove, come, quando e da chi io l’abbia eventualmente appreso. Sicuramente si tratta di una definizione che ho fatto mia e nella quale mi ci riconosco appieno. Per quanto mi riguarda, penso che il motocowboy, debba cavalcare una enduro “dual sport”, perché ritengo che il limite dell’asfalto o del non poter trasportare un minimo di bagaglio, non si addica a questa “filosofia” di viaggio.

Però, sicuramente, qualcuno avrà da eccepire a proposito di questa mia affermazione ed argomenterà di come ci si possa sentire motocowboy, anche in sella ad una custom, oppure in piedi sulle pedane di una trial.
Io personalmente mi sento tale, anche sulle grosse enduro stradali, sui leggeri mezzi da motoalpinismo e soprattutto sulle agili e polivalenti dual sport.
In particolare, ritengo, che queste ultime, attrezzate con borse laterali flosce, uno zaino sul portapacchi e la borsetta degli attrezzi, dotate di una autonomia compresa tra i 100 ed i 200 chilometri, gommate con pneumatici tassellati, ma con mescole in grado di sopportare lunghe cavalcate su asfalto e veloci tratti di roccia, rappresentino il top per il vero motocowboy.

Ma, come si muove, come si veste, dove va e cosa mangia e dove dorme il soggetto in questione? Secondo me, si muove ovunque ci sia una strada o un tracciato ed a volte anche dove non c’è.
Raggiunge luoghi di straordinaria bellezza e di particolare interesse. Va dove lo porta l’istinto e dove lo spinge la sua curiosità, con il vento in faccia e lo sguardo rivolto all’orizzonte.
Viaggia adagio, a volte un po’ più speditamente, ma mai di fretta o troppo velocemente.
Stivali, jeans, occhiali, foulard, casco jet, guanti di pelle e giubbotto, compongono il suo abbigliamento.
Mangia con curiosità e soddisfazione il cibo locale e pur mantenendo chiara ed indelebile la propria identità, non è mai troppo legato ad usi, costumi, luoghi ed origini.

Per quanto possa essere bello il luogo raggiunto e per quanto possa essere piacevole la compagnia trovata, egli non si ferma mai troppo in un posto e quindi riparte verso nuove avventure.
Parla con tutti, studia i luoghi e le usanze, ma sa stare da solo; per questo motivo, viaggia spesso in solitaria, anche se a volte si riunisce in piccoli gruppi, che si formano e poi si dissolvono, ma soprattutto non appartiene mai ad un branco.
La sua cavalcatura ideale, pesa meno di centocinquanta chili “veri” ed ha una cilindrata compresa tra i duecento ed i settecento centimetri cubi.
Quasi mai porta un passeggero.

La sua moto è silenziosa ed educata, robusta ed affidabile, ma se le viene richiesto, sa scaricare a terra una notevole dose di coppia e di potenza.
Nel suo bagaglio, ci sono un po’ di ferri e qualche ricambio indispensabile, due chili di abbigliamento ed un pezzo di sapone di Marsiglia, il necessaire, un asciugamano e la tuta antipioggia.
A volte un sacco letto e raramente la tenda ed il materassino.
Un po’ d’acqua, a volte il fornelletto a combustibile solido con la gavetta,per il tè o il caffè, molto raramente il necessario per preparare i pasti.
Egli ama profondamente la vita da campo, ma d’abitudine frequenta ed alloggia nelle locande dei villaggi, dove la sera si lava e si sistema per la giornata successiva.
Non ama le città con il caos ed il traffico, però non è un asociale ed a volte le visita, brevemente, concedendosi il lusso di un cinque stelle, magari con spa e piscina.

Il motocowboy non ha confini e pregiudizi, tutto il Mondo è la sua casa, ogni luogo può rappresentare la sua meta ed ogni strada è la sua strada.
A volte dico che un motocowboy può andare anche in quad, in fondo il cavallo di zampe ne ha quattro, ma in un libro come questo, una tale affermazione, potrebbe essere considerata blasfema!

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